Sport e parità di genere: i momenti chiave di un lungo percorso verso l'uguaglianza · Parte 1
L'uguaglianza di genere è una priorità assoluta del Movimento Olimpico moderno.
Il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) afferma infatti che "lo sport è una delle piattaforme più potenti per promuovere l'uguaglianza di genere e l'emancipazione di donne e ragazze".
Per la prima volta nella storia dei Giochi Olimpici, a Parigi 2024 ci sarà la piena parità sul campo di gioco.
Questa è la prima parte di un racconto a ritroso con cui Olympics.com vuole ricordare alcuni dei momenti più importanti della storia che hanno aperto la strada alla parità di genere nello sport.
1. Babe Didrikson: la prima superstar donna dello sport
Nata nel 1911 da genitori norvegesi immigrati in Texas, Babe Didrikson è stata la prima atleta donna superstar.
Stella della pallacanestro al liceo, si dedicò presto all'atletica.
Ai campionati dell'Amateur Athletic Union che precedettero i Giochi Olimpici di Los Angeles 1932, Didrikson vinse sei competizioni e batté quattro record mondiali.
Poiché le donne potevano partecipare solo in tre gare Olimpiche, Didrikson trionfò negli 80 metri a ostacoli con primato del mondo, conquistò l'oro nel giavellotto e l'argento nel salto in alto.
Rimane l'unica atleta, uomo o donna, a vincere medaglie Olimpiche individuali nella corsa, nel lancio e nel salto.
Dopo i Giochi Olimpici, Didrikson partecipò a una tournée con una squadra di basket chiamata Babe Didrikson All Stars.
Due anni dopo, giocò tre partite amichevoli della Major League di baseball: fece due inning senza punti per i New Orleans Pelicans contro i Cleveland Indians.
Nel 1935 iniziò a partecipare ai tornei di golf, dopo essersi dilettata con questo sport al liceo e averlo praticato più seriamente dopo il successo Olimpico.
Didrikson vinse il Texas Women's Amateur Open, ma le fu negato lo status di dilettante perché in precedenza aveva giocato come professionista.
Tre anni dopo, partecipò al Los Angeles Open del PGA Tour, ma non superò il taglio dopo aver chiuso con 81 e 84 colpi.
Uno dei suoi compagni sul campo era il lottatore George Zaharias: da quei momenti insieme nacque una relazione e i due si sposarono 11 mesi dopo.
Dopo essersi presa tre anni di pausa per riacquistare lo status di dilettante, Babe Zaharias continuò a dominare il golf femminile come nessun'altra prima o dopo, tanto che l'Associated Press (AP) la nominò atleta donna dell'anno dal 1945 al 1947.
Oltre ad aver superato il taglio in tre eventi del PGA Tour contro gli uomini, fu membro fondatore della LPGA e vinse il Grande Slam dei tre major nel 1950.
Nel 1953, a Zaharias - che ormai si era allontanata dal marito e viveva con la collega golfista Betty Dodd - fu diagnosticato un cancro al colon.
Un mese dopo aver subito l'asportazione del tumore, ottenne la sua decima e ultima vittoria in un major, l'US Women's Open del 1954, con un vantaggio di 12 colpi.
Ma il cancro la colpì nuovamente nel 1955, con maggiore violenza, e morì un anno dopo all'età di 45 anni.
Solo nel 2003 Annika Sorenstam è diventata la seconda donna a partecipare a un evento del PGA Tour.
Altre tre hanno affrontato gli uomini ma, a differenza di Zaharias, nessuna ha superato il taglio.
Sebbene Zaharias non fosse universalmente apprezzata a causa del suo carattere ritenuto arrogante, ricevette anche critiche significative in quanto donna che eccelleva nello sport. Si riferiva proprio a lei lo scrittore Joe Williams quando disse: "Sarebbe stato molto meglio se lei e le sue simili fossero rimaste a casa, si fossero fatte belle e avessero aspettato che il telefono squillasse".
La sua eredità è incalcolabile ed è stata di ispirazione per coloro che sono venute dopo, come la campionessa Olimpica di salto in lungo e di eptathlon Jackie Joyner-Kersee, che è stata la più grande atleta donna del XX secolo secondo Sports Illustrated, battendo Didrikson al secondo posto.
"È stata in grado di dimostrare che se voleva essere una superstar nel basket, poteva farlo. Se voleva essere una superstar nel golf, lo era. Se voleva essere una superstar nell'atletica leggera, non aveva ostacoli" - Jackie Joyner-Kersee su Babe Didrikson Zaharias a ESPN.
2. Donne e Giochi Olimpici
Per molti anni lo sport è stato considerato appannaggio degli uomini.
I primi Giochi Olimpici moderni, nel 1896, furono un affare per soli uomini, ma 12 donne parteciparono ai Giochi del 1900 a Parigi.
Il numero aumentò gradualmente e le donne gareggiarono per la prima volta per le medaglie di atletica nel 1928, un'opportunità presto funestata da molte fake news, specialmente nell'evento degli 800 metri.
Un importante giornalista sportivo, John Tunis, riferì della finale: "Sotto di noi, sulla pista di cemento, c'erano 11 miserabili donne, cinque delle quali si sono ritirate prima del traguardo, mentre cinque sono crollate dopo aver raggiunto il nastro".
Notizia falsa perché solo nove partirono, tutte terminarono la gara, e le donne a terra dopo aver tagliato il traguardo si stavano solo riprendendo dallo sforzo.
Sfortunatamente, la storia si adattava all'agenda del CIO, allora dominato dagli uomini, e le gare Olimpiche oltre i 200 m furono vietate fino al 1960.
Il direttore medico e scientifico del CIO, Richard Budgett, racconta dei primi anni Olimpici: "Le idee sulla società e sulla medicina erano molto diverse da quelle di oggi. Anche la professione medica si sbagliava, ritenendo che l'esercizio fisico fosse pericoloso per le donne e che uno sforzo eccessivo avrebbe danneggiato le loro funzioni riproduttive".
Fino agli anni Quaranta si pensava che il parto significasse la fine della carriera di un'atleta, finché non arrivò Fanny Blankers-Koen.
Dopo aver avuto un figlio nel 1942, l'olandese stabilì i record del mondo nel salto in lungo e nel salto in alto e gareggiava in una classe tutta sua negli sprint brevi.
La guerra comportò la cancellazione dei Giochi del 1944, mentre Blankers-Koen diede alla luce una bambina l'anno successivo.
Prima dei Giochi di Londra del 1948, attirò molte critiche per aver presumibilmente trascurato i suoi "doveri domestici".
Inoltre, fu messa in cattiva luce per il fatto che avesse 30 anni e il team manager della squadra britannica di atletica Jack Crump la definì "troppo vecchia per essere all'altezza".
Non avrebbe potuto sbagliarsi di più.
Scegliendo di concentrarsi sulla pista, Blankers-Koen vinse un totale di quattro ori nei 100m, 200m, 80m ostacoli e nella staffetta 4x100m.
Soprannominata "la casalinga volante", ricevette un'accoglienza da eroina ad Amsterdam ed è ricordata come una delle più grandi Olimpioniche della storia.
In seguito, il numero di donne è decollato, anche se ci è voluto del tempo per permettere loro di gareggiare in diverse discipline.
Il XXI secolo ha fatto passi da gigante verso l'uguaglianza di genere: due sport tradizionalmente maschili, la lotta e il pugilato, hanno avuto le loro prime competizioni Olimpiche femminili rispettivamente nel 2004 e nel 2012.
Nel 2018, i Giochi Olimpici giovanili di Buenos Aires hanno fatto la storia con la partecipazione di 1.893 donne e 1.893 uomini.
La spinta verso l'uguaglianza di genere è proseguita a Tokyo 2020, con ogni squadra che richiese almeno un uomo e una donna.
E si è estesa alla Cerimonia di Apertura, con ogni nazione che ora ha due portabandiera, uno per ogni genere.
3. Affrontare gli uomini. E vincere
Gli sport equestri sono le uniche discipline dei Giochi Olimpici in cui donne e uomini competono tra loro anche a livello individuale.
Le donne sono state ammesse per la prima volta al dressage nel 1952, con Lis Hartel tra le concorrenti.
Per la danese partecipare ai Giochi fu un'impresa, visto che era stata paralizzata dalla poliomielite nel 1944 mentre era incinta del suo secondo figlio, all'età di 23 anni.
Nonostante l'assenza di movimenti al di sotto delle ginocchia e la necessità di essere aiutata a salire e scendere da cavallo dal marito, Hartel vinse i titoli nazionali e conquistò l'argento a Helsinki.
Mentre veniva assistita per smontare da cavallo, lo svedese Henri Saint Cyr, medaglia d'oro, la portò memorabilmente sul podio.
Quattro anni dopo, Hartel vinse nuovamente l'argento a Stoccolma, che ospitava gli eventi equestri a causa delle leggi di Melbourne sulla quarantena degli animali.
Oltre a lottare per l'uguaglianza di genere, Hartel si batté anche per i diritti delle persone con disabilità e fondò il primo centro di equitazione terapeutica in Europa.
Ha raccolto ingenti somme per le associazioni di beneficenza contro la poliomielite ed è diventata un'eroina nazionale danese.
Il tiro sportivo era un altro sport in cui le donne potevano affrontare e battere gli uomini.
Dal 1972 al 1992, le gare prevedevano entrambi i generi, con la statunitense Margaret Murdock che ha conquistato l'argento nella carabina 50m a tre posizioni a Montreal 1976.
Ma Zhang Shan ha fatto di meglio nello skeet a Barcellona 1992.
La cinese ha ottenuto un punteggio perfetto di 200 nelle qualificazioni e nelle semifinali, prima di colpire 23 bersagli su 25 nella finale per il record Olimpico e la medaglia d'oro.
Ad Atlanta 1996 furono inaugurate gare di tiro separate per le donne, ma Zhang dimostrò definitivamente che le donne potevano reggere più che egregiamente il confronto con i loro colleghi maschi.
4. Billie Jean King: il vento del cambiamento nel tennis
Il tennis femminile non sarebbe così come oggi lo conosciamo senza Billie Jean King.
Sebbene sia stata una delle più grandi tenniste della storia, con 12 titoli di singolare e 27 di doppio nei Grandi Slam, sarà sempre ricordata soprattutto per il suo epico contributo nella "battaglia dei sessi".
Bobby Riggs, ex numero uno al mondo negli anni Quaranta e sedicente "maiale maschilista", era convinto che il tennis femminile fosse nettamente inferiore a quello maschile.
Sosteneva soprattutto che, anche a 55 anni, poteva battere le migliori giocatrici del mondo.
Quando King aveva inizialmente rifiutato il match, la numero uno del mondo Margaret Court accettò la sfida nel maggio 1973, ma fu battuta per 6-2 6-1.
Avendo ottenuto fama nazionale dopo quell'episodio, Riggs rincarò la dose delle sue provocazioni e King alla fine accettò uno scontro diretto per un compenso di 100.000 dollari all'Astrodome di Houston, a settembre di quello stesso anno.
Giocando al meglio dei cinque set, King si è trovata in svantaggio per 2-3 nel primo set, ma ha subito alzato il tiro.
Avendo imparato molto guardando la vittoria di Riggs su Court, è stata brillante nel mettere a punto la sua tattica, sfidando il suo avversario più anziano nell'atleticità.
Alla fine King ha vinto per 6-4 6-3 6-3 e così facendo ha portato il tennis femminile su nuove vette con 50 milioni di telespettatori negli Stati Uniti d'America e 90 milioni in tutto il mondo.
La folla di 30.472 persone rimane il record di presenze per una partita di tennis negli USA.
"Pensavo che se non avessi vinto quel match saremmo tornati indietro di 50 anni. Avrebbe rovinato il tour femminile e influenzato l'autostima di tutte le donne" - Billie Jean King a ESPN sulla "Battaglia dei sessi"
King è rimasta in prima linea nel tennis femminile e nella lotta per l'uguaglianza di genere, oltre a essere una convinta sostenitrice dei diritti LGBT.
Dopo essere stata la prima presidente della WTA e aver contribuito a trovare ghiotte sponsorizzazioni per i tornei, ha fondato la Women's Sports Foundation, il cui obiettivo è "migliorare la vita delle ragazze e delle donne attraverso lo sport e l'attività fisica".
Il suo contributo e la sua eredità nel tennis e nello sport sono ineguagliabili: la Fed Cup è stata ribattezzata Billie Jean King Cup.
L'ottantenne oggi è impegnata come sempre e ha dichiarato a Olympics.com che l'uguaglianza è sempre stata importante per lei "perché a nessuno piace essere sminuito".
"Per genere, per colore, per sessualità... nessuno vuole essere disprezzato. Se le donne ricevono minori premi in denaro, significa che siamo considerate di meno. Nessuno è da meno, tutti contano, tutti meritano. Quando c'è uguaglianza, l'inclusione è bellissima. Ma quando non c'è, la sensazione è orribile."
"Le donne hanno sempre guadagnato meno degli uomini, anche nei lavori (al di fuori dello sport). Ecco perché vogliamo più donne nei consigli di amministrazione, più donne nei media. Vogliamo che queste posizioni di leadership riflettano l'aspetto del mondo reale. Abbiamo bisogno di più donne tra gli allenatori. La Fed Cup è straordinaria: molti allenatori sono donne."
"È molto importante che tutti sperimentino l'uguaglianza e si sentano apprezzati e inclusi". - Billie Jean King
5. Le pioniere della maratona Bobbi Gibb e Kathrine Switzer
Anche dopo le imprese di Blankers-Koen, solo nel 1960 le donne furono ammesse alle gare con distanze superiori ai 200m ai Giochi Olimpici.
Più tardi, nello stesso decennio, la maratona di Boston divenne uno spartiacque nella lotta per la parità di genere nell'atletica.
La maratona di Boston, disputata per la prima volta nel 1897, era un evento esclusivamente maschile e negli Stati Uniti d'America non esistevano gare femminili autorizzate oltre le 1,5 miglia (2,4 km).
Nel febbraio 1966, l'atleta del posto Bobbi Gibb chiese di partecipare alla gara, ma per tutta risposta il direttore della competizione, Will Cloney, affermò che "le donne non sono fisiologicamente in grado di correre per 26 miglia e inoltre, secondo le regole che governano gli sport internazionali, non sono autorizzate a correre".
Dopo essersi allenata fino a 40 miglia (64 km) al giorno, Gibb sapeva di potercela fare ed era determinata a dimostrare che Cloney si sbagliava.
La madre l'ha accompagnata alla partenza e, indossando una felpa blu con cappuccio e i bermuda del fratello sopra un costume da bagno scuro, si è nascosta tra gli altri corridori al suono della pistola.
Gli uomini intorno a lei si sono subito accorti che era una donna, ma Gibb ricorda che sono stati "solidali e amichevoli", spingendola a togliersi la pesante felpa.
Ha tagliato il traguardo in 3:21:40 davanti a due terzi del gruppo.
"È stato un punto cruciale nell'evoluzione della coscienza sociale. Ha cambiato il modo in cui gli uomini pensavano alle donne e ha cambiato il modo in cui le donne pensavano a se stesse. Sostituì una vecchia, falsa, credenza con una nuova realtà". - Bobbi Gibb, dopo aver completato la maratona di Boston nel 1966.
L'anno successivo Gibb si ricandidò in modo non ufficiale, ma fu un'altra donna a fare notizia.
Kathrine Switzer si era iscritta alla gara attraverso i canali ufficiali, pagando la quota di iscrizione e firmando con il suo nome K.V. Switzer come faceva sempre.
Indossando un pettorale di partenza, a differenza di Gibb, la diciannovenne studentessa di giornalismo ha iniziato la gara con intorno a sé i colleghi corridori che in gran parte la sostenevano.
Ma il direttore di gara Jock Semple era così furioso per la sua presenza nella competizione che l'ha aggredita all'altezza delle due miglia (3 km), cercando di strapparle il pettorale e impedendole di continuare.
L'allenatore di Switzer e compagno di corsa Arnie Briggs ha cercato di proteggerla prima che il suo fidanzato, il lanciatore di martello Tom Miller, si fiondasse su Semple e lo stendesse per terra.
Nonostante lo shock e la rabbia, Switzer ha continuato a correre ed è riuscita a terminare la gara in quattro ore e 20 minuti.
Grazie a Gibb e Switzer, nel 1972 le donne furono ammesse alla maratona di Boston.
Switzer ha seguito Monaco di Baviera 1972 come giornalista ed era determinata a far entrare la maratona femminile nei Giochi Olimpici.
Ha continuato a correre, vincendo la maratona di New York nel 1974.
Ma è per la promozione della corsa su strada che è più conosciuta, lanciando l'Avon International Running Circuit e facendo molte pressioni sul CIO per l'inclusione dell'evento nei Giochi.
Nel 1981, il CIO votò per la prima edizione della maratona femminile ai Giochi di Los Angeles 1984.
L'atleta di casa Joan Benoit si aggiudicò la vittoria, anche se la gara è forse ricordata maggiormente per Gabriela Andersen-Schiess che, a causa di una crisi di calore, barcollava fino al traguardo.
Switzer, pensando a quell'episodio ha ricordato: "Ero terrorizzata dall'idea che la cosa facesse clamore e ritirassero l'evento. Avrebbero detto che la donna non è in grado di affrontare la maratona".
Questi timori si sono rivelati infondati, poiché l'atleta svizzera si è ripresa in poche ore dopo aver impiegato sei minuti per completare l'ultimo giro dello Stadio Olimpico.
Clicca QUI per leggere la seconda parte (6-10).