Martina Valcepina, pronta per Beijing 2022: "Le mie bimbe mi hanno dato la forza e il coraggio"

La staffetta femminile di short track sarà il primo evento medaglia nella pista corta di Pechino, sabato 5 febbraio. Olympics.com ha intervistato Martina Valcepina, una delle protagoniste dell'Italia in questa specialità. L'azzurra ha raccontato le sue levatacce, da bambina, per guardare i Giochi, cos'è per lei la maternità e i momenti più importanti della sua carriera.

7 minDi Gisella Fava
Martina Valcepina
(2014 Getty Images)

OC: Ciao Martina. Come arrivi a Pechino, che bilancio fai della stagione pre Olimpica, sia a livello individuale che di squadra?

Martina Valcepina: A livello individuale, non sono partita in modo molto brillante quest'anno. Ho avuto un po’ di problemi durante le gare di Coppa del Mondo nel trovare il feeling che avevo prima della pandemia. A fine anno ci sono stati molti cambiamenti, anche in squadra, nel passaggio di allenatori, e ho un po' sofferto a livello di continuità. Ma ho lavorato e faticato tanto, e spero che le giuste sensazioni ritornino a Pechino. Per quanto riguarda la squadra siamo partiti molto bene e sia la squadra femminile che la squadra maschile sono riuscite a qualificare la staffetta, così come la mista. Abbiamo sempre dimostrato di potercela giocare, sempre tra le migliori, sempre in zona podio.

A proposito, come ti trovi con il nuovo evento della staffetta mista a squadre, che debutterà proprio a Pechino?

È una staffetta che a me piace molto, perché vedi competere insieme uomini e donne. Già in altri sport era stata introdotta e personalmente sono contenta che sia arrivata anche nello short track Olimpico. La trovo una bella competizione, anche per il pubblico, divertente da vedere.

Sei ormai una veterana delle Olimpiadi, come vivi questa nuova avventura?

Sono le quarte Olimpiadi! Conosco ormai la pressione che si sente nei giorni delle gare, da quando si parte a quando si scende in pista, ma è sempre molto difficile da gestire. Spero di riuscire a essere tranquilla e di trovare un bel clima all'interno della squadra. In questo senso, l’allenamento è tutto per riuscire a stare sereni con la testa e non farsi sotterrare dalle pressioni che ci sono intorno.

Hai un ricordo a cui sei affezionata particolarmente, delle tue esperienze Olimpiche?

A Vancouver ero la più giovane della spedizione italiana, ero una bambina, coccolata da tutti. Arrivai quasi spaventata, perché non era da tanto che gareggiavo a livello internazionale, e mi sono trovata in un mondo che mi sembrava molto più grande di me. L’agitazione si è fatta sentire e infatti la mia gara è durata molto poco, dopo mezzo giro son caduta.

Se penso a Sochi 2014, il pensiero va alla scoperta della gravidanza, nel villaggio Olimpico. Tutto quel periodo, in quel momento, è stato abbastanza pesante. Ora lo ricordo con più leggerezza e serenità.

A PyeongChang 2018, l'ultima Olimpiade, ero già più grande. Purtroppo, non sono riuscita a esprimermi nei 500m, che erano andati male, però con la staffetta eravamo molto focalizzate, sapevamo che potevamo far bene perché c’era stato il podio Olimpico di Sochi, e andarsi prendere l'argento a PyeongChang ci ha reso consapevoli di essere sempre al massimo livello. Mi emoziono molto quando ci penso. Ecco, negli anni siamo cresciute come squadra: sono cresciute le nostre avversarie, ma anche noi con loro. E penso che siamo ancora lì, a giocarcela.

(2010 Getty Images)

La vostra è una squadra che si è sempre confermata tra i vertici dello short track. Com’è il rapporto con le tue compagne?

C’è il gruppo delle più più grandi, che siamo io, Arianna [Fontana], Cynthia [Mascitto]: abbiamo imparato un po’ conoscerci, a prendere il bello di ognuna e usarlo per crescere e per migliorarci. Poi ci sono le giovani, che sono invece molto più piccole, hanno dieci anni in meno, portano leggerezza e freschezza, ci fanno sorridere e scherzare.

Ogni tanto ci sono dei litigi, perché siamo tante teste e alla fine è difficile andare sempre d'accordo, soprattutto nei momenti di stanchezza, ma è normale che ci siano battibecchi. Però siamo davvero una bella squadra. C’è rispetto e andiamo d'accordo.

Hai un ricordo delle Olimpiadi di quando eri bambina, ti sei ispirata a qualche atleta?

Nel 2002 mi svegliavo la notte, mi ricordo perfettamente la gara di Bradbury e i primi ricordi di gare di short track sono proprio quelli dell'Olimpiade di Salt Lake. A Torino sono andata con il mio gruppo di amichetti del pattinaggio a vedere le gare, una spedizione in pullman. E poi, a Vancouver, in pista c'ero ero io.

Mi piace guardare tutti gli sport e ho molti sportivi che prendo come come punti di riferimento. Bolt e Phelps sono quelli che forse mi hanno impressionato di più.

Dopo la tua lunga pausa (quasi due anni) post gravidanza, i tuoi risultati sono migliorati in maniera netta. Come ha inciso la maternità nella tua carriera?

Sicuramente le mie figlie mi hanno dato la forza, mi hanno trasmesso la consapevolezza di farcela. Quando sono tornata ad allenarmi ho ricominciato ad avere fiducia in me stessa. All'inizio ovviamente non pensavo di poter ritornare a pattinare. Il primo ad aver avuto fiducia in me è stato il mio allenatore [di allora e attuale] Kenan Gouadec. Io ero rimasta comunque ferma due anni, che è un periodo abbastanza lungo per per uno stop sportivo e non pensavo di riuscire a farcela. Fu lui a spronarmi a riprovarci. Da quel momento ho cominciato ad avere la consapevolezza che potevo ancora giocarmela tra le migliori e ho cominciato a lavorare su quello. Vedere le mie bimbe crescere, e crescere con me, mi ha aiutato a non arrendermi.

Hai avuto modo di confrontarti con altre atlete che, come te, hanno vissuto la maternità, riuscendo a rimanere ad alti livelli?

No, però mi piacerebbe assolutamente sentire le esperienze di altre atlete perché, alla fine, io ovviamente non sono l'unica e credo che sia una cosa bella. Anche per dare più supporto all’argomento e per fare rete.

È un messaggio per tutte le donne: “è possibile”, la gravidanza non è una cosa che ti penalizza, anzi, è una cosa che ti premia.

Credo anche che la figura della mamma-atleta sia cresciuta molto rispetto ad anni fa, ci sono dei miglioramenti.

Tu cosa ti sentiresti dire a un’atleta giovane che pensa a una sua possibile maternità?

Coltivare quel sogno, perché alla fine è possibile; che nella vita non bisogna mettere da parte i desideri solo per il semplice fatto che si pensa non sia possibile realizzarli.

Tornando alle medaglie. Ce n'è qualcuna a cui sei particolarmente affezionata?

Sicuramente quella che più che mi è rimasta impressa è una non medaglia, quella che non ho preso ai Mondiali di Sochi, nel 2019. È stata una vittoria che è durata solo qualche secondo [a causa di una squalifica]. Poi, in realtà ci sono altre altre medaglie che ricordo ovviamente con il sorriso. La prima vittoria in Coppa del Mondo, nei 500m, e subito dopo due in casa, a Torino. Sono state tre medaglie che mi hanno portata alla consapevolezza che potevo far bene.

Tutte nella stagione 2017/2018, al rientro dalla maternità?

Sì, quella stagione è stata veramente emozionante. Prima della gravidanza ero arrivata seconda e terza, ma non avevo mai vinto la medaglia d'oro: la prima è arrivata dopo le bimbe e questa cosa mi ha dato un coraggio incredibile.

(2014 Getty Images)

Rebecca e Camilla, le tue gemelline, fanno già qualche sport?

Hanno cambiato parecchi sport, poi la pandemia ha fatto fermare un po’ tutti i corsi. Ora hanno ripreso a nuotare, vanno a pattinare, fanno un po’ di tutto per adesso.

Niente short track?

Non lo so, non sembrano molto interessate e va bene così. Io stessa fino ai 12, 13 anni facevo atletica, mi piaceva molto il nuoto e facevo diverse discipline. La mia idea è quella di fare la stessa cosa con loro: sceglieranno loro la strada prendere, quando sentiranno la scintilla.

Se avessi avuto una valigia ideale dove poter mettere di tutto, cosa avresti portato con te Pechino?

Le mie bimbe. Sono venute a PyeongChang, c’erano a Sochi, però purtroppo con tutte le restrizioni non ci saranno a Pechino, quindi porterei senz’altro loro.

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