Amos Mosaner: da eroe di Plzen a colonna del curling azzurro

Olympics.com intervista in esclusiva Amos Mosaner, che racconta il curling a 360 gradi, la passione per lo sport e i suoi ricordi Olimpici più belli in vista dei Beijing 2022.

6 minDi Gisella Fava
Amos Mosaner - Campionato europeo di Lillehammer 2021. Foto: WCF.

Si scrive Amos Mosaner, si legge curling italiano. Il third della nazionale maschile ha 26 anni, ma se si guarda ai risultati di questo sport in Italia, sembra che questo ragazzo ci sia da sempre: argento nel mixed team alle Olimpiadi Giovanili di Innsbruck 2012; due titoli continentali juniores in tasca; eroe della storica qualificazione Olimpica di Plzen (CZE), la prima per merito, che portò l’Italia del curling a PyongChang 2018; a Tallin 2018, di nuovo sul podio.

L’ultima fatica, il bronzo europeo a Lillehammer dello scorso 27 novembre, e l'ottimo preolimpico rappresentano un’iniezione di ottimismo in vista della partecipazione a Beijing 2022 sia con la squadra maschile che nel doppio misto.

Il gigante di Trento (quasi due metri di altezza), classe 1995, si racconta e racconta il suo curling a Olimpics.com, ma parla anche di ciclismo, calcio, del suo momento sportivo più bello e di incontri inaspettati.

OC: Ciao Amos. Con tutte queste esperienze internazionali, c’è un momento che ricordi con più piacere?

Difficile negarlo: la qualificazione di PyeongChang [Plzen 2017] è stato il momento più bello. Insieme alla prima medaglia di bronzo agli Europei [Tallin 2018], ma tra tutti, la qualificazione per le Olimpiadi del 2018. L'Italia non era mai riuscita a qualificarsi per merito alle Olimpiadi, se non a Torino 2006 perché era il paese ospitante, quindi ci andava di diritto. È stata la prima volta, ed è stato davvero emozionante.

OC: All’epoca eri già professionista?

Io sono professionista da metà 2017, prima lavoravo in un’azienda vinicola. Io, Simone Gonin e Sebastiano Arman, miei compagni di squadra [Team Retornaz Raspini] in campionato, siamo professionisti.

A parte la nostra squadra che lo fa praticamente di professione, il resto dei giocatori [del massimo campionato italiano] hanno quasi tutti un lavoro a parte.

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OC: E com’è la situazione internazionale?

Ogni anno sempre più competitiva. Da Sochi 2014 al 2018 c'è stato un balzo in avanti. Anche le nazioni più piccole adesso continuano a evolversi e il livello diventa sempre più alto. Ormai devi essere professionista per competere a questi livelli e poter pensare di arrivare a una medaglia Olimpica, Mondiale o Europea. Poi c’è il Canada che è a parte: lì hanno strutture dedicate al curling ovunque, ti sembra di stare in un altro mondo.

OC: A livello agonistico, quanto dedicate alla parte atletica e quanto alla strategia?

Ancora all'Olimpiade 2014 o forse anche 2010, l'aspetto fisico non era una componente così importante. Adesso invece è parte integrante, perché chi lancia fa molto affidamento ai due spazzatori, che veramente possono cambiare il tiro di un centimetro. Questo indipendentemente dai ruoli: in teoria lo skip, che è quello che sceglie la strategia, non deve essere così preparato fisicamente come gli spazzatori; però noi facciamo un lavoro comune, dovesse esserci un cambio o un infortunio, bisogna essere sempre pronti.

OC: Quanto è importante la comunicazione in squadra durante una partita?

Noi parliamo tanto perché più informazioni abbiamo rispetto al ghiaccio, alla strategia e al tiro che dovremmo fare, meglio è. In ogni palazzetto che vai c'è un ghiaccio diverso, non tutti i ghiacci sono uguali; possono esserci certi punti della pista con comportamenti diversi, per questo la comunicazione diventa fondamentale.

Prima della partita facciamo sempre un meeting con il nostro allenatore, dove ci spiega anche i sassi che useremo, perché non tutte le stone sono uguali, c'è sempre qualche stone che gira di più o meno. Spesso l'allenatore ha qualche informazione in più rispetto alla squadra avversaria, se a un giocatore piace effettuare un determinato tiro rispetto a un altro, e noi cerchiamo di riportarla sul ghiaccio e nella partita.

OC: Parliamo di Olimpiadi: che ricordo hai di PyeongChang 2018?

È stata un'esperienza davvero grande, anche se in piccola parte l'avevo già vissuta nel 2012, con le Olimpiadi Giovanili. Però arrivare in un villaggio Olimpico immenso, dove vedevi atleti che solito guardavi alla tv… non sembrava vero.

Mi ricordo che feci una foto con Carolina Kostner. Lei è quasi mia vicina di casa, però non avevo mai avuto l'opportunità di incontrarla.

Cose come queste mi sono rimaste nel cuore, perché non capitano nella quotidianità. E poi ovviamente la parte del gioco. Avere il palazzetto sempre pieno, a ogni partita, non è una cosa scontata per noi del curling, perché è ancora uno sport di nicchia, soprattutto in Italia, e giocare davanti al pubblico è davvero emozionante.

OC: E come ti trovi nel doppio misto?

Mi ci sono avvicinato tre anni fa, giocavo con la mia compagna [Alice Cobelli], ho disputato anche un mondiale. È quasi un altro sport, ci sono regole diverse: ci sono già due stone predefinite prima di partire nel round e c'è la differenza che non si può sbocciare fino al sesto stone. Il gioco, di conseguenza, è concentrato sempre verso il centro, per via degli stone preimpostati. Per dire, io spazzo quasi di più nel doppio misto, perché , oltre le tre stone che tiro, devo spazzarmi anche le due che lancia la mia compagna. Il doubles mixed è fisicamente più impegnativo.

OC: Cosa ti ha spinto, da piccolo, a iniziare col curling e a sceglierlo come sport?

Mio padre lo praticava e quando ero veramente piccolo, a tre anni, mi portava con sé - non a giocare - sulla pista. Ho ancora qualche foto dove sono sul ghiaccio con queste scopette, all'epoca ancora di legno. Da ragazzino ho praticato diversi sport, dal calcio al ciclismo. Nel ciclismo me la cavavo abbastanza bene: ho fatto i campionati italiani da esordiente, circa 12 anni fa; ma quando facevo le superiori, il ciclismo su strada richiedeva molto allenamento e a quei tempi non potevo allenarmi se non la sera, così ho dovuto decidere per uno sport. Mi son lanciato sul curling. Sono arrivati alcuni risultati, poi il bando dell'Aeronautica Militare. Fortunatamente sono riuscito a diventare professionista e la mia passione è diventata il mio lavoro.

Ho giocato anche a calcio, ero difensore centrale, per la mia statura: quand'ero pulcino era un ruolo che mi sembrava semplice. Devo dire che queste passioni ce le ho ancora, non le pratico ad alto livello però ogni tanto, d'estate, riesco a fare un giro in bici da corsa o una partitella con gli amici.

OC: Hai un atleta Olimpico a cui ti ispiri particolarmente?

Adesso si è ritirato, però il mio idolo da bambino era Kevin Martin del Canada. Aveva già smesso nel 2018, però proprio alle Olimpiadi di PyeongChang faceva il commentatore per una tv canadese. Un giorno mentre facevo il giro delle tv me lo sono ritrovato che mi faceva domande sulla partita! Ci sono rimasto quasi male per quanto non mi aspettassi di ritrovarmelo davanti [ride].

(2010 Getty Images)

OC: Domanda secca: tre cose che metteresti nella tua valigia ideale da portare a Pechino.

 Sicuramente la mia ragazza, Alice, e Bloom, il mio cane. Perché fanno parte della mia famiglia e sono una parte del mio successo anche loro. Poi ovviamente mi porterei dietro tutto il bagaglio di esperienze da tirar fuori nel momento del bisogno, magari come un libro, da risfogliare ogni volta.

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