Francesca Lollobrigida 4 anni dopo: a Pechino, il riscatto di PyeongChang

Alle sue terze Olimpiadi Invernali, Lollobrigida affronta il ghiaccio con una convinzione e una consapevolezza nuove, sui cui ha lavorato a fondo nell'ultimo quadriennio Olimpico, e non solo. L'ormai ex rotellista azzurra approda a Beijing 2022 con l'intenzione di "aprire e chiudere" i Giochi. E che fa sul serio lo ha dimostrato sin da subito.

Francesca Lollobrigida
(Archivio privato FL)

Olympics.com ha intervistato Francesca Lollobrigida alla vigilia della partenza per i Giochi Invernali di Beijing 2022, e già ieri l’abbiamo vista conquistare la sua prima medaglia Olimpica, per lei e per l'Italia, sulla pista dell'Ovale Nazionale di Pechino. I 3.000m sono la distanza che "Lollo" ha fatto sua nel tempo, allenamento dopo allenamento, con sacrificio e devozione totale al ghiaccio. Dietro la vittoria di ieri dell’atleta dell’Aeronautica Militare c’è un cambio di approccio radicale, che le ha permesso di riscattare la delusione di PyeongChang 2018 e di non “dipendere” più solo dalla mass start, riappropriandosi di ciascuna delle distanze e facendo del rimpianto coreano una grande lezione.

Il 5 febbraio, a Pechino, è stato solo l’inizio, con un argento che l’ha portata un gradino più vicina ai suoi obiettivi.

La rivedremo gareggiare il 7 febbraio nei 1.500, il 10 nei 5.000 e, il 19, nella mass start.

Olympics.com: Ciao Francesca. Raccontaci il tuo quadriennio Olimpico, come sei arrivata a costruirti una stagione 21-22 così esaltante. Come stai approcciando Pechino?

Francesca Lollobrigida: Già dall'anno precedente alla pandemia avevo dato la mia piena disponibilità alla Federazione Italiana Sport del Ghiaccio, perché venendo dal mondo delle rotelle ho sempre fatto doppia stagione. Però andando avanti con gli anni, e quando ne mancavano due a questa Olimpiade, abbiamo pensato di dedicarci completamente al ghiaccio. L'anno scorso è andata come è andata, però da quest'anno l'obiettivo è stato uno solo. Da aprile a settembre sono stati raduni su raduni, qualche giorno a casa, e allenamenti - continuamente. Mi sono sposata il 3 luglio scorso e il 5 luglio ero di nuovo in raduno.

A settembre è iniziato il ghiaccio, ci siamo allenati in Germania e c’è stata la preparazione fino a ottobre. Qualche giorno a casa e poi siamo partiti per le prime Coppe del mondo. Questo per dire che il mio sport, non smetterò mai di ripeterlo, è a tempo, quindi se uno gira in allenamento su certi tempi, è ovvio che in gara non può inventersi niente.

OC: Quindi hai subito sentito che sarebbe stata una stagione così positiva?

In allenamento io mi sentivo bene, vedevo che giravo bene quindi ero soddisfatta. Poi, è ovvio, posso fare pure il mio tempo, ma alla fine corro sempre con altre avversarie e mi devo confrontare con loro. Ma già subito, nella prima Coppa, feci il podio nei 3.000, poi nella mass start. E anche nella 5.000, nella tappa successiva in Norvegia, sono arrivata sesta in una distanza in cui ci vogliono molti più anni per dominarla, prima di avere risultati.

OC: A Pechino non hai il tempo di annoiarti, farai tutte le gare.

Sì, io apro e chiudo i Giochi. Ma era questo lo scopo, perché dalle scorse Olimpiadi il mio obiettivo era non arrivare a Pechino pensando e puntando tutto su una sola gara. Non volevo ripetere le Olimpiadi in Corea, dove la mia unica gara era la mass start e sono stata 20 giorni là ad aspettare e a giocarmi veramente tutto su una gara - che era alla fine dei Giochi, tra l'altro.

Il mio obiettivo era essere competitiva anche nelle altre distanze, di arrivare tra le prime 6 per giocarmela con le migliori. Certo, mi sto allenando a correre da sola perché in ghiaccio corri contro il tempo. Però sono nata sulle rotelle, quindi il mio carattere da sfida diretta con l'avversario è sempre lì. Mi dà quell'aiuto in più e sono riuscita ad applicarlo nei 3.000m, nei 1.500m e, di conseguenza, nei 5.000m.

OC: E la mass start, non è più la tua gara preferita?

Provenendo dalle rotelle, la partenza in linea è la gara che più si avvicina allo spirito competitivo, all'avere il riferimento con più avversari. Però anche la mass start, rispetto ai primi anni, si è evoluta - sia quella femminile che maschile - e chi vince e arriva sul podio lo fa anche nelle altre distanze.

Oggi non basta soltanto essere una "rotelletta", come dico io, devi proprio diventare "una ghiacciaiola".

OC: Ti manca pattinare a rotelle?

All'inizio sì. Alla prima Coppa del Mondo di questa stagione c’erano stati, qualche giorno prima, i Campionati del mondo di rotelle in Colombia, che dovevano essere a luglio dell'anno prima e poi sono slittati per la pandemia. Io avevo in programma di farli, nel 2020, perchè le rotelle in Colombia sono come di calcio in Italia: ci sono stadi enormi, pubblico caloroso, è veramente bello correre là. Però quando quell'anno sono slittati ho dovuto fare una scelta.

Ma devo essere sincera: è la prima volta che non mi è scattata la malinconia. Quando capitava in passato di doverci rinunciare, di solito mi dispiaceva. Adesso no, perché ho scelto questa strada, non sono stata costretta, l'ho voluta e l'ho accettata. Poi ovvio, è sempre bello vedere le gare: a novembre scorso mi svegliavo alle due del mattino fino a quando ho potuto e non si avvicinavano le mie, di gare. Però mi ha fatto piacere vederle e non provare né rimpianti, né rimorsi.

OC: Cos'è il pattinaggio per te?

Per me il pattinaggio è il mio stile di vita, è la mia vita, quello che mi sono scelta: non mi pesa e non è un sacrificio. Ma è il mio lavoro. Essendo una mia scelta non mi sento in diritto di dire che non mi va di farlo o lamentarmi. È una responsabilità.

OC: Ne risenti mai del fatto che sia di nicchia e che in Italia non sia uno sport popolare?

Non è uno sport che ha l'appeal del calcio o di quelli più comuni: ma io l'ho scelto perchè lo amo, seguendo il cuore, non la visibilità. Però se è vero che ci si ricorda del nostro sport ogni tre anni, mi sento di dire che deve essere compito anche di noi atleti mantenere l'attenzione alta.

Poi, il discorso della visibilità è complesso. Se le persone ti vedono all'Olimpiade e poi non ti vedono per i successivi tre anni, si dimenticano e non ti seguono più. Ora, con i social chi vuole seguire un atleta lo fa e c'è un po' più di continuità, ma è comunque dura.

(Archivio privato FL)

OC: Hai mai pensato che avresti potuto fare altro?

Di altri sport, no. Ho fatto nuoto, danza, e tanti altri, ma sono sempre tornata al pattinaggio. In alternativa al pattinaggio, mi sarebbe piaciuto diventare medico, quello sì. Da atleta professionista, in Italia, diventare medico sarebbe stato troppo difficile. Per fortuna, hanno inventato le università telematiche e io mi sono iscritta a quella del San Raffaele. Tra un raduno e una gara, arrivo alla sessione invernale stremata. Però mi mancano 4 esami per completare il corso di studi in Scienze Motorie.

OC: Com’è stato il tuo percorso Olimpico?

Sochi 2014 è stato l’esordio. Avevo ricominciato a pattinare nel 2012 dopo tre anni di stop per infortunio, e lì per me era tutto nuovo. Ero ancora un’atleta di un’altra disciplina, Campionessa del mondo di rotelle. E col carattere che ho, vedere gli altri salire sul podio e io sempre ai piedi, era una cosa che non digerivo proprio. Quindi mi sono detta: darò il tutto e per tutto per le Olimpiadi.

Adesso sono una persona diversa, prendo sia il bagaglio dei 4 anni da Sochi, che i 4 anni di PyeongChang 2018. Adesso sono convinta della mia strada, in passato mi dispiaceva non aver scelto le rotelle, non ero sicura, e quando sei incerta la testa non ti fa dare il 100%. Adesso mi ritrovo più matura, mi sto allenando tantissimo, è la cosa che voglio fare e sono dove voglio essere. Ma c'è anche un’altra cosa: io arrivo in top 6 su tutte e quattro le distanze: lì c'è il carattere ma anche un po’ di fortuna, sinceramente.

Poi l'Olimpiade è sempre una gara a sé. Molte volte ci sono le conferme delle favorite e ogni tanto spuntano le outsider. Chi lo sa, magari stavolta posso essere io l'outsider.

OC: Cosa hai imparato da PyeongChang?

Rifarei tutto quello che ho fatto nella mia carriera da atleta. A PyeongChang non riuscivano a fermarsi le lacrime, però lì ci stava, era appena finita una gara attesissima.

Ma non mi sono disperata per non essere salita sul podio, pur arrivandoci così vicino, e quello mi ha dato la spinta per andare avanti nei 4 anni successivi, per cercare di migliorare. È un'altra consapevolezza. Non è che io parta già sconfitta, ma penso di essere più consapevole di quello che ho fatto, e convinta di aver fatto tutto il possibile per giocarmela.

OC: È stata una questione di pressione, secondo te, quella mass start così sofferta?

Qui ritorniamo al discorso di prima: per tre anni noi siamo tranquilli e "invisibili", e l'anno dell'Olimpiade si crea una pressione a cui non sei abituato, perché tu non sai come reagire a tante attenzioni, alla tensione.

Vivi nella tua tranquillità, lavori e affronti tutte le stagioni di quei tre anni. Poi quando i fari si accendono tu effettivamente sei un atleta che non è abituato a gestirsi con tutti quegli sguardi e telecamere in più.

OC: Hai degli stratagemmi o dei rituali che ti incoraggiano o tranquillizzano?

Io abbino tutti i colori della biancheria intima. Stupidamente, se ho vinto con quella combinazione di calzini, slip e top, ci rifaccio altre gare. Una volta sono andata bene con due colorazioni di capi diverse: avevo una terza gara e ho fatto un calzino di un colore e uno dell'altro. Ho un colore per la 3.000m, uno per la 1.500, per la 5.000, la mass start e così via. Però mi adatto al corso delle cose: se non va bene o non trovo i colori giusti non casca il mondo.

OC: A proposito: c'è attesa per il colore dei tuoi capelli a questi Giochi.

No, vi deluderò. Sono talmente terrorizzata di prendermi il covid che non vado manco dal parrucchiere, quindi per la prima volta... vado con la ricrescita! Mi faccio spavento da sola [ride], ma sarò al naturale. Però il colore delle unghie delle mani e dei piedi è a posto: saranno rosa con i brillantini.

OC: Le prime cose che hai messo nella tua valigia per Pechino?

Sicuramente la mia macchinetta del caffè, la moka, col caffè che mi porto io dall'Italia. Dovunque vada io bevo solo il mio caffè.

Poi, le liquirizie. A me piacciono quelle ripiene e le girelle, le ho sempre dietro, non posso portarmene tante appresso, e quindi le centellino. E poi i pattini, ovviamente, se no pensano che vado a fare una sfilata di moda! [ride].

(Archivio privato FL)
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